Il dojo


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“Quando visito i tanti dojo sparsi per il Giappone, trovo che veramente pochi vi abbiano dedicato un tempio. Quasi tutte le scuole dimenticano questo passaggio. La gente moderna sembra credere che si possa apprendere il Budo o diventare esperti nel Bujutsu solamente col movimento. Quando vedo questo genere di persone, sento un’indescrivibile rammarico, e mi sento anche investito di una tremenda responsabilità personale. I due caratteri cinesi per dojo (道場) assieme significano il luogo ove praticare lungo la via. I dojo d’oggigiorno potrebbero meglio essere chiamati fabbriche.”

(Questo scritto, citato da Kishhomaru Ueshiba nella sua biografia del fondatore dell’aikido, è dello stesso Morihei Ueshiba, risale al 1932)

 

Il termine Dōjō (道場) indica il luogo ove si svolgono gli allenamenti delle arti marziali. Il termine, ereditato dalla tradizione buddhista cinese, indica il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio. Si tratta quindi di tutti i luoghi deputati alla pratica religiosa nei templi buddhisti. Solo in un secondo momento il termine venne a indicare il luogo ove si fa pratica del Bujutsu, e, dopo il periodo Tokugawa e l’ incontro con lo Zen, del Budo.

Nel budō il dojo diventa luogo dell’isolamento e della meditazione oltre che della pratica marziale. Erano spesso piccoli locali situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini delle foreste, in modo tale che i segreti delle tecniche venissero preservate.

Certe volte capitava che i dojo fossero all’aperto, nei cortili sempre presenti per questo scopo nella dimora del signore, e utilizzati per i quotidiani allenamenti dei samurai del feudo. Il signore poteva assistere agli allenamenti o ai duelli da una veranda coperta, ed a lui i praticanti rivolgevano il saluto. Potevano essere presenti altri spettatori che trovavano posto lungo i lati corti del dojo.

Così il maestro Hiroshi Tada ricorda l’Hombu Dojo di Tokyo nel periodo in cui egli iniziò la pratica dell’aikido, nel marzo del 1950: “Il dojo era della grandezza di 60 tatami [circa 99 mq]: la zona dove si tenevano gli allenamenti era costituita da circa 40 tatami della Ryukyu lesi in più posti, nella restante parte del dojo c’era un pavimento in legno scuro lucido.

[la parola tatami viene utilizzata la prima volta come unità di misura, corrispondente a circa 90cm x190, la seconda volta indica i materassi delle dimensioni di un tatami che si dispongono sul pavimento delle case e dei dojo]

Il soffitto era formato da grosse travi di legno incrociate e lateralmente alla porta attraverso cui si accedeva al dojo da casa Ueshiba, c’era una zona sollevata dal pavimento e  rientrante nel muro [si scorge a sinistra] dove di solito sedevano gli ospiti di riguardo per assistere agli allenamenti, la cui parete centrale era ricoperta da una riproduzione di grandi dimensioni della testa di un drago. A destra di questa zona, sulle apposite mensole, erano allineati dei bokken insieme a dei jo e dei mokuju. [fucili di legno utilizzati per il jukendo, scherma alla baionetta]. Sulla parte superiore della parete erano appese delle tavolette di legno con i nomi degli allievi [nafuda kake] e al centro della parete che si trovava entrando sulla sinistra, c’era un grande orologio sovrastante un altro ingresso attraverso cui gli allievi erano soliti accedere al dojo.”

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La diffusione delle arti marziali favorì la nascita di vari dojo, frequentati da allievi sempre più numerosi, non per forza legati al mondo militare, desiderosi di praticare il Budo, non il Bujutsu. I dojo vennero abbelliti con lavori di calligrafia e oggetti artistici preparati dagli stessi allievi. Su di una parete veniva posto uno scrigno, simbolo che il dojo era dedicato ai più alti valori e alle virtù del Do, non soltanto all’esercizio fisico.

In altri dojo si trovavano gli altari detti kamiza (sede degli Dei), riferiti non a divinità ma al ricordo di un grande maestro defunto.

Il dojo rappresenta un luogo di meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto, è il simbolo della Via dell’arte marziale. Sul dojo si lavora per raggiungere il perfetto equilibrio psicofisico, sotto la guida del sensei (maestro), coadiuvato da maestri suoi allievi e dagli allievi più anziani, senpai, che si prendono cura degli allievi meno esperti.

L’allievo che entra nel dojo lascia fuori tutti i problemi della quotidianità, il suo allenamento si pone lo scopo di fargli superare i propri limiti e le proprie insicurezze, in un costante confronto con sé stesso. L’ inchino fatto quando si entra e si esce dal dojo è un segno di rispetto verso il luogo, il maestro, i compagni, il lavoro.

Anticamente nel dojo veniva eseguito il rito del soji (pulizia): gli allievi, usando scope e strofinacci, pulivano l’ambiente, lasciandolo in ordine per i successivi allenamenti. Tale gesto è il simbolo della purificazione del corpo e della mente.

La disposizione dei tatami oggigiorno si è adeguata allo standard delle norme sportive e ai materiali a disposizione. Una volta si utilizzava per il tatami la paglia di riso, e lo spessore di ogni tatami era intorno ai 20cm. Si usava spesso rivestire con un telone l’intera superficie per evitare il deterioramento della stoffa di rivestimento.

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Tratto da www.musubi.it

"Il dojo" ultima modifica: 26 Ottobre, 2015 da Redazione VivereZen