Wagashi l’arte dei cinque sensi


I Wagashi sono i dolci tradizionali giapponesi evoluti in una forma d’arte nell’antica capitale imperiale, Kyoto. Il termine “wa” denota le cose giapponesi, mentre “Gashi” è un’allitterazione di Kashi e indica il dolce. I Wagashi rappresentano l’essenza della cultura giapponese a differenza dei dolci occidentali detti “yogashi”. I tradizionali dolcetti giapponesi sempre accompagnati da tè verde, iniziarono a svilupparsi nell’antico Giappone ma raggiunsero l’apice di raffinatezza grazie alla cerimonia del tè dove l’ospitalità del maestro si manifesta anche nei dolci. Quando invita delle persone nella stanza del tè, il maestro appende nella nicchia del tokonoma un rotolo calligrafico, dispone i fiori e sceglie gli utensili e le stoviglie in modo da dar forma all’ospitalità, ma lo stesso vale anche per i dolciumi. Consultandosi col pasticciere sul tipo di dolci adatti alla stagione e al contenuto del ricevimento, riflette attentamente sugli ingredienti da usare, sulla simbologia e sui colori. Così facendo, prepara dei dolci che siano perfetti per quella singola e irripetibile cerimonia. I Wagashi nascono come evoluzione dei kudamono.  Nel Giappone antico tutto il cibo che cresceva allo stato selvatico come castagne, frutti di bosco o funghi veniva chiamato kudamono. Con il passare del tempo questi cibi abbellirono i pasti formati da cereali ad altri alimenti comuni, molti kudamono venivano zuccherati e considerati cibo di lusso.

Wagashi

In origine il termine che identificava i dolci era il termine “frutta”, questo kanji di origine cinese era gashi, termine al quale poi si aggiunse wa, formando wagashi ossia dolce giapponese. Durante il periodo di Nara, VIII secolo, il commercio con la Cina era ricco, fiorente ed in piena espansione. Fra le novità provenienti dalla Cina apparirono dei nuovi cibi associati spesso anche al Buddismo. Le farine d’orzo, di soja o di riso glutinoso (quello usato per fare i mochi) venivano spesso condite con aceto o sale e fritte, cotte alla griglia o al vapore. Questi nuovi cibi avevano il nome di kara kudamono (kara era il nome giapponese della dinastia cinese Tang), e trovavano uso fra i pasti aristocratici e nelle cerimonie rituali. Ed è proprio da queste cerimonie che nasce la tradizione dei wagashi. Durante le prime cerimonie il tè si accompagnava a frutta dolce come cachi o marroni ma col tempo la concentrazione di zucchero nei dolci aumentò grazie anche alla via dello zucchero, un fiorente commercio che portava lo zucchero sulle coste del sud del Kyushu. I dolci diventano ricchi di zucchero per stemperare il gusto molto erbaceo del matcha e soprattutto gradevoli alla vista. Durante l’epoca Edo i wagashi raggiungono il massimo della raffinatezza. I Wagashi  sono destinati a compiacere occhi e palato, hanno la figura che corrisponde alle stagioni. Dice il direttore esecutivo della Zenkoku Wagashi Kyōkai (Associazione Nazionale Wagashi) Mitsuo Yabu: “Fra i kigo degli haiku, ovvero parole chiave che servono a richiamare l’atmosfera di una stagione, abbiamo ‘yama warau’ (la montagna ride) per la primavera, ‘yama shitataru’ (la montagna gronda acqua) per l’estate, ‘yama yosoou’ (la montagna si adorna) per l’autunno e ‘yama nemuru’ (la montagna dorme) per l’inverno. Io credo che la sensibilità dei giapponesi che li ha portati a rappresentare in questo modo il mutare delle espressioni della montagna secondo le stagioni abbia portato allo sviluppo dei wagashi”.

I nomi dei Wagashi, eleganti e letterari, spesso vengono collegati alle poesie e ai romanzi antichi. Sapendo da quale opera sono citate la parola o la frase, si capisce il perché della forma e del colore del dolcetto. Questo è uno dei motivi per cui i dolcetti tradizionali venivano graditi durante la cerimonia di tè. I Wagashi sono talvolta chiamati “Arte di collaborazione tra i cinque sensi”. É soprattutto la vista a essere stimolata: suggestive immagini della natura ispirano i maestri pasticceri creando uno spettacolo e un trionfo di colori agli occhi.

 

Tratto da nicolettatul.it

"Wagashi l’arte dei cinque sensi" ultima modifica: 21 Agosto, 2015 da Redazione VivereZen