Conoscere l’Ekiden per comprendere i giapponesi.


“In Giappone ho capito che corriamo per ritrovare un legame con qualcosa presente dentro di noi, sepolto sotto gli strati più terreni del nostro io, sotto la nostra identità e le nostre responsabilità. La corsa, nella sua semplicità e pura brutalità, pela via questi strati, rivelando l’essenza umana”.

Adharandand Finn, giornalista inglese e maratoneta dilettante, si è trasferito sei mesi in Giappone per indagare sul podismo nipponico; che, per inciso, è lo sport nazionale. Per capire la portata della corsa nella cultura giapponese, basta guardare i dati: se nel mondo 4 maratoneti su 10 sono africani, 5 sono giapponesi; ed il resto del mondo si divide l’ultimo rimasto.

Per gli atleti nipponici, però, la maratona non è il punto d’arrivo, anzi: in Giappone, si scopre un mondo “altro”, un mix di passione popolare, interessi economici, filosofia e monaci-maratoneti

I 42 chilometri e 195 metri, infatti, sono solo l’appendice, il corollario, la “deviazione”, di un rito sportivo che calamita l’intero Paese del Sol levante: l’ekiden . Apparentemente una semplice staffetta a squadre (nata a inizio dello scorso secolo proprio come prova propedeutica alla maratona), che si corre su varie distanze: di pochi chilometri per i runner amatori, fino ad un massimo di oltre duecento chilometri per le gare universitarie e professionistiche, coperti dai frazionisti nell’arco di due giorni.

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Per comprendere l’interesse dei giapponesi per l’ekiden, ritorniamo ai numeri: in occasione delle sue prove più importanti, riempie le strade di tifosi e blocca l’intera nazione davanti alla tv, con uno share del 30% paragonabile a quello del Super Bowl negli Stati Uniti.

Il paradosso è che l’ekiden rappresenta al tempo stesso il tesoro del podismo giapponese e la sua maledizione: è grazie alle staffette, infatti, che l’atletica produce un movimento così ricco di corridori di alto livello; ma l’attenzione quasi esclusiva che viene indirizzata fin dallo sport giovanile all’ekiden, penalizza tutte le altre discipline. Così accade che il punto d’arrivo di ogni promessa del podismo giapponese diventi l’approdo nelle squadre professionistiche delle grandi aziende, o che magari correre da protagonisti un’ekiden appaghi runner che potrebbero puntare con maggiore convinzione a Olimpiadi o gare internazionali. Un pianeta a parte che faticano a capire anche quelle decine di kenyani ingaggiati dalle squadre giapponesi per partecipare alle staffette: vanno lì attratti dalle prospettive di guadagno, ma poi si devono adattare a metodi di allenamento (in particolare la preferenza nipponica per la corsa su asfalto e pista, rispetto allo sterrato) e a stress che sono la negazione dell’approccio tipicamente africano al running.

Detto questo, la domanda è sempre la stessa: ma quanto sono strani i giapponesi?

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"Conoscere l’Ekiden per comprendere i giapponesi." ultima modifica: 28 Aprile, 2016 da Redazione VivereZen