Hiroh Kikai e lo yin e yang dei ritratti


Hiroh Kikai

Hiroh Kikai è nato a Yamagata, in Giappone il 18 marzo del 1945.  Dopo aver studiato filosofia presso  la Hosei University di Tokyo, lavora per due anni come camionista e per altri due in un cantiere navale.

La fotografia era nata come un passatempo ed è rimasto sconosciuto al pubblico fino al 2003 con la prima edizione del libro Persona, una raccolta di ritratti di Asakusa, un quartiere alla periferia di Tokyo. Le sue sono foto monocromatiche, ritratti quadrati in bianco  nero che sembrano una meditazione sulla complessità della condizione umana. Iniziata nel 1973, la serie adotta alcuni dettami rigidi: tutte le persone guardano direttamente in camera e vengono mostrate dalle ginocchia in su.

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“Credo che oggi dedichiamo sempre più tempo ed energie per le cose superficiali. Mi riferisco al modo in cui le persone vivono, in particolare in Giappone contemporaneo: satura di informazioni, con una lista sempre crescente di cose di cui abbiamo bisogno e non abbiamo. Tutto questo agisce come uno schermo, bloccando la vera natura delle cose al nostro sguardo atrofizzato. In che senso possiamo ancora vivere pienamente? Mi chiedo, in mezzo a questa profonda confusione, come possiamo sapere che cosa è reale e ciò che è falso? Che cos’è che ci farà giudicare qualcuno come superiore? Non credo che sia nostalgia, ma è vero che ho sentito, e continuo a sentire, che c’è qualcosa che manca, un vuoto metafisico nella nostra società ed è quello che dovrebbe essere cercato.

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Fotografia e scrittura sono parte della stessa medaglia per me: entrambi riguardano il fare qualcosa di intellegibile. Entrambi formalizzano un fatto ovvio che non è sempre visibile, che agisce come una lente d’ingrandimento o, se si preferisce una metafora musicale, che recepisce l’ordinario da una minore a una chiave importante.

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Nel caso di questo processo di trasformazione e di formalizzazione, anche quello che abbiamo considerato come insignificante o irrilevante diventa vitale e in grado di stimolare la riflessione. Quando si interroga costantemente la realtà, e questo è ciò che un fotografo fa, ci si rende conto che tutto ciò che è collegato: l’immobilità e movimento, positivo e negativo, l’importante e l’inutile … queste nozioni apparentemente opposte, infatti, si completano l’un l’altro, in un processo che è messo in evidenza con l’atto di acquisizione di un’immagine.

"Hiroh Kikai e lo yin e yang dei ritratti" ultima modifica: 26 Novembre, 2015 da Redazione VivereZen