La natura con gli occhi di Hayao Miyazaki
|«Questo porta all’idea che il mondo non è solo per gli uomini, ma per ogni forma di vita, e agli uomini è concesso di vivere in una parte del mondo. Non è che possiamo convivere con la natura fintanto che viviamo in modo rispettoso, e che la distruggiamo perché diventiamo avidi. Quando ci accorgiamo che anche vivere in modo rispettoso distrugge la natura, non sappiamo che fare. E credo che se non ci mettiamo nella posizione di non sapere cosa fare e partire da lì, non possiamo risolvere i problemi ambientali o i problemi che coinvolgono la natura.»
– Hayao Miyazaki
Miyazaki nasce a Tokio nel 1941, in una famiglia agiata. Il padre di Miyazaki ha una ditta che produce componenti per aerei, da qui la sua grande passione per gli aerei e per il volo, elementi fondamentali e costanti in quasi tutta la sua produzione artistica. Crescendo, si rende conto di essere privilegiato rispetto a molti suoi coetanei, potendo frequentare regolarmente una scuola e partecipare ad attività ricreative; arriva a provare un senso di colpa nei confronti delle vittime del conflitto tanto più che gli aerei prodotti dal padre venivano usati dall’aviazione militare.
In un’intervista rilasciata a Margaret Talbot di The New Yorker, Miyazaki ha affermato che crescere nel periodo Shōwa (il periodo Shōwa – 昭和時代 Shōwa jidai, letteralmente “periodo di pace illuminata” – o epoca Shōwa, è il periodo di storia giapponese corrispondente al regno dell’Imperatore Hirohito; è compreso tra il 25 dicembre 1926 ed il 7 gennaio 1989) è stato per lui un momento triste, perché l’intero periodo è stato segnato da una massiccia distruzione della natura, di montagne e di fiumi in nome del progresso economico. Inoltre a suo parere gran parte della cultura moderna «è sottile e superficiale e falso», e non del tutto scherzosamente ha auspicato un futuro apocalittico in cui «Tokyo sarà sommersa dall’oceano e la torre NTV diventerà un’isola, quando la popolazione umana crollerà e non ci saranno più grattacieli».
L’esperienza personale dell’autore e di tutto il popolo giapponese della guerra e il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, eventi che hanno ovviamente lasciato tracce indelebili nella memoria della collettività, hanno contributo alla nascita del mondo utopico immaginato da Miyazaki, dove è presente il tema della catastrofe, ma dove vengono affermati i valori fondamentali della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, e la natura è rappresentata con meticolosità e amore, creando un netto contrasto con la distruttiva produzione industriale, valori che ritroviamo in tutte le sue opere.
Ma non per questo bisogna considerare Miyazaki come totalmente contrario al progresso e alla tecnologia, anzi la sua passione per quest’ultima emerge dalla creazione di macchine immaginarie di diverso tipo, perfette fin nei più piccoli particolari, come navi, robot, automobili e aerei. La natura di Miyazaki non è descritta passivamente, ma interpretata con la fantasia e la creatività di un moderno pittore paesaggista, non diversamente da come possono averlo fatto in tempi passati Salvator Rosa, Nicolas Poussin e Claude Lorrain. In ognuno dei suoi cartoni animati infatti elabora o rielabora dei differenti concetti di paesistica, riuscendo a cogliere con attenzione e sensibilità le atmosfere dei libri da cui sono tratti, o nel caso di opere originali, creando dei paesaggi compiutamente immersi nei mondi descritti dal cartone, ottenendo una verosimiglianza ed un realismo che riescono a far calare lo spettatore all’interno del mondo immaginario con rapidità ed immediatezza, al fine di ottenere quella che Tolkien chiamava “sospensione dell’incredulità”. Miyazaki è senza dubbio il più europeo dei disegnatori giapponesi.
Il suo tratto semplice e pulito reca infatti delle ben visibili ed inconfondibili tracce di grandi maestri dell’illustrazione europea e americana di inizio Novecento, come John Bauer, Winsor Mccay, Ian Bilibin, ed in generale di tutti gli illustratori che affondano il loro tratto nello stile Liberty, come Dulac, Rackham o Parrish. È facile vedere l’influenza di idee e suggestioni dell’illustratore Jean Giraud, in arte Moebius, con il quale strinse una forte amicizia ed un sodalizio artistico che dura ancor oggi. L’influenza tra Moebius e Miyazaki è certamente reciproca, ed è specialmente visibile nella costumistica di “Nausicäa”, che sembra presa di peso dai bozzetti della prima versione, mai realizzata, di “Dune” commissionati a Moebius da Alejandro Jodorowski.
Miyazaki ha sempre detto di amare molto l’Europa, ed in particolare l’Italia e la Francia, che da sempre distribuisce i suoi lungometraggi in Europa. Ed è sicuramente anche per questo motivo che i suoi cartoni animati sono molto amati e conosciuti anche in Occidente. Inoltre molti dei suoi lavori sono tratti da romanzi occidentali (“Heidi”, “Anna dai capelli rossi”, “Dagli Appennini alle Ande”, “Conan, ragazzo del futuro”), ed anche questa scelta ha sicuramente contribuito a renderlo particolarmente gradevole agli occhi degli europei. La sua meticolosità nel riprodurre fedelmente ambientazioni paesistiche ed architetture lo vedeva viaggiare per il mondo per fare degli schizzi e delle fotografie dei luoghi che sarebbero poi comparsi nei suoi cartoni.
In tutte le opere di Miyazaki è sempre presente e marcatamente visibile un’attenta osservazione della natura, che viene riprodotta fedelmente, in maniera quasi lenticolare, pur mantenendo un tratto semplice e non iper-realista. La profonda conoscenza e comprensione della natura di Miyazaki, le ritroviamo nella sua descrizione di un ambiente ancora retto dal patto che abbiamo violato, terre incantate e minacciate che pagano il prezzo del progresso, dove dietro le risaie, le fattorie e i templi scintoisti possiamo ancora incontrare dei Totoro e altre piccole divinità ctonie.
Da “Conan, ragazzo del futuro”, ambientato in un paesaggio post-atomico, in cui il verde è una cosa preziosa, difeso dalla gente comune contro una fazione di ultra-tecnologici industriali, prende così corpo quella che sarà l’anima ecologista di Miyazaki, che diverrà un filo conduttore che collegherà molti dei suoi successivi lavori. Per molti “Conan” è una prova generale per “Nausicäa nella Valle del Vento”, con cui l’Autore abbandona le serie e si dedica interamente ai lungometraggi. “Nausicäa nella Valle del Vento” vede la valle come una sorta di piccolo Eden, minacciato da una terribile “Jungla Tossica” che si espande e distrugge ogni cosa che incontra, e che è abitata da insetti giganti e strane creature. Le più grandi preziosità artistiche si trovano proprio nell’originalità e nella minuziosità con cui viene descritta la “Jungla Tossica”, un paesaggio fantasy da sogno, seppur mortale. Il finale riserva sorprese, e veniamo a sapere che la Jungla non sarebbe più velenosa se venisse irrigata con acqua pura, e che sono proprio i maestosi, giganteschi alberi pietrificati che filtrano le acque velenose e le restituiscono pulite e limpide alla base della Jungla, dove l’aria è finalmente respirabile. Anche i paesaggi dell’isola incontaminata “Laputa” sono ancora edenici, simili a quelli della “Valle del Vento”, tra la fantascienza e il fantasy ma con qualche ricercatezza in più, come edera e muschi che ricoprono vecchi muri e con più di qualche spunto che rimanda all’Assiria e ai giardini pensili di Babilonia.
Nella “Principessa Mononoke” Miyazaki sceglie come sfondo l’Era Muromachi. «Sento che la relazione tra i giapponesi e la nature è cambiata enormemente nel corso dei secoli, diventando ciò che è attualmente intitolato all’Epoca Muromachi. Pur tenendo nella dovuta soggezione la natura, la gente Muromachi era comunque sfavore dell’abbattimento degli alberi. La produzione del ferro s’impennó e la gente fu indotta a credere di poter controllare la natura. Personalmente, sono arrivato al punto in cui non posso più fare un film senza indirizzarlo al problema dell’umanità come parte di un ecosistema».
In questo anime i dettagli dei fiori e i particolari raccolti ed intimi, tipici in Miyazaki, sono messi da parte in favore di uno scenario aperto e selvaggio. Per la prima volta in uno dei suoi film, la natura sfugge al controllo degli esseri umani ed è poco o per nulla antropizzata anche nei villaggi sparpagliati tra boschi e pianure, che non si configurano quindi come paradisi all’interno di un mondo ostile (come in “Nausicäa”), ma piuttosto come rifugi o baluardi contro un pericolo costantemente incombente.
Tutto l’anime ruota attorno all’inquietante ed ambigua presenza di un “ grande spirito naturale” che compie delle azioni di volta in volta distruttrici o guaritrici, a seconda che ci si ponga come nemici o come amici. È una chiara metafora della Natura, che può travolgere con furia inarrestabile o essere per l’Uomo nutrimento e salvezza. La Natura, insomma, non è né buona né cattiva, ed è dato solo a noi scegliere se avversarla o no, prendendoci le responsabilità delle nostre azioni.
Nel “Il vicino Totoro”, come in tutte le altre sue opere la simbiosi tra paesaggio e spirito dei personaggi è completa, ma in questo caso si potrebbe dire che è anche “personale”. Sembra infatti che in questo film Miyazaki restituisca la campagna senza patetismi od orpelli nostalgici, quasi “oggettivata”, in modo che ognuno, leggendola con il filtro del proprio cuore, ne colga ciò che solo a se stesso è caro e vicino, riportandolo alla sua storia personale, non già facendolo immedesimare in quella di un altro.
Ne “La città incantata” le preoccupazioni ambientali di Miyazaki sono incarnate dallo “spirito del cattivo odore”, lo spirito di un fiume inquinato, che cerca sollievo nelle terme di Yubaba. Miyazaki ha dichiarato che l’ispirazione per la scena della sua pulizia è stata una sua esperienza personale quando ha contribuito a pulire un fiume inquinato vicino a casa sua. Questo tema si riflette anche nella storia dello spirito del fiume Kohaku, il cui corso e relativo letto sono stati distrutti per far spazio a un progetto edilizio.
In “Ponyo sulla scogliera”, il padre della pesciolina mostra una forte antipatia per gli esseri umani e la loro sporcizia. Ciò è dimostrato dalla condizione disgustosa della zona della baia dove vive Sosuke e dal fatto che la rete non cattura altro che spazzatura. Se “Il castello errante di Howl” racconta una natura che non va mai giudicata dalla sua esteriorità, e che tutto andrebbe condito con un pizzico di magia, in “Si alza il vento”, invece, è proprio il vento la metafora della Natura che porta cambiamento, espressione di forza dell’uomo, che lo prende e porta con sé fino alla sua crescita. Alla ricerca del volo, inteso come vita e come futuro. Che il maestro dell’animazione giapponese senta un legame con la Natura traspare dalle sue opere, ma lui stesso non si definisce ecologista: “L’ecologia e l’ambiente vanno vissuti soggettivamente senza doverne parlare. Non mi definisco un ecologista. Anche se ho smesso di buttare cicche per terra.”
Tratto da www.compagniadelgiardinaggio.it
www.greenme.it
“Hayao Miyazaki. Le insospettabili contraddizioni di un cantastorie” Di Alessia Spagnoli