Elsa stove, la stufa-cucina ecologica
|Nei paesi africani, il fuoco acceso, bruciando normali biomasse all’interno delle capanne senza canna fumaria per riscaldarsi o cucinare, come fa del resto circa il 50% della popolazione nel mondo, rilascia all’interno delle stesse, ossido di carbonio ed idrocarburi incombusti. Questa situazione rappresenta la prima causa di morte nei bambini di età inferiore ai 5 anni, nei paesi in via di sviluppo, con un numero di vittime in assoluto, superiore alla malaria e quasi pari alle vittime dell’AIDS. Cosí l’Università di Udine ha brevettato una stufa che brucia senza sviluppare fumo. Una stufa pirolitica, ad alto rendimento energetico e zero emissioni nocive, che produce carbone vegetale come scarto della combustione lenta, in assenza di ossigeno (pirolisi), di fogliame secco, residui di potature e altri materiali organici non legnosi e l’ha chiamata Elsa, come la leonessa protagonista del bestseller “Nata libera”, sperando che si diffonda in Africa di villaggio in villaggio senza troppi ostacoli, anche perché per i piccoli artigiani e imprenditori africani Elsa Stove è libera da copyrigh.
Questa stufa é già presente in Ghana, Togo, Etiopia, Zimbabwe, e sta prendendo piede in Tanzania, Nigeria, Camerun. L’Università di Udine l’ha sviluppata con il progetto Bebi – Benefici agricoli e ambientali derivanti dall’utilizzo del carbone vegetale nei Paesi africani – , che ha visto impegnati oltre all’ateneo udinese, il CNR IBIMET, e organizzazioni di molti paesi africani. In virtù delle sue caratteristiche, la nuova stufa pirolitica “Elsa Stove”, permette proprio di agire sui tre diversi fronti della sostenibilità: sanitario, grazie alle basse emissioni pericolose a differenza delle stufe a legna; ecologico, con l’utilizzo di combustibili vegetali residuali alternativi senza intaccare le foreste; economico, per la capacità della stufa di produrre carbone vegetale (biochar), un concimante naturale che aumentando la fertilità del suolo ostacola la desertificazione. L’ateneo friulano già dal 2007 aveva iniziato a studiare gli effetti positivi del carbone vegetale sui suoli: “E’ un fertilizzante molto utile, soprattutto nel caso di terreni molto acidi come sono quelli africani, difficili da coltivare”, spiega Alessandro Peressotti, docente del dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, “A quel punto – continua Peressoti – ci siamo chiesti come potevamo produrre il carbone vegetale in modo sostenibile, senza ricorrere alle carbonaie ancora oggi diffuse in Africa, che però inquinano e liberano una grande quantità di calore…Abbiamo scoperto che era possibile fare pirolisi in piccoli bruciatori realizzabili in modo semplice e con materiali anche di recupero e di diversa qualità”. Nel 2010, Peressotti, insieme a un suo studente neolaureato, Davide Caregnato, e al fisico e imprenditore agricolo Carlo Ferrato, brevetta Elsa Stove con i contributi provenienti in buona parte dalla Commissione Europea.
I vantaggi sono parecchi: il biochar, infatti, se distribuito sulla terra può anche raddoppiare la produttività agricola. Migliora, infatti, la struttura del terreno, ne aumenta la ritenzione idrica e quella degli elementi nutritivi, che rimangono così più a lungo disponibili per le piante, diminuendo di fatto il fabbisogno di acqua e di fertilizzanti. Inoltre, nutrendo la terra di carbone vegetale, è possibile stoccare carbonio, immagazzinarlo cioè al suolo, invece di farlo tornare in atmosfera sotto forma di CO2. Ormai, infatti, diversi studi scientifici ne hanno evidenziato l’importanza sia per il sequestro di anidride carbonica atmosferica al suolo, sia come ammendante, termine con cui si indicano quelle sostanze capaci di migliorare la fertilità dei terreni agricoli. “L’adozione su larga scala di questo fornello da cucina che brucia biomasse vegetali e non legno disincentiva anche l’abbattimento delle foreste – aggiunge Peressotti – fenomeno che, come sappiamo, favorisce l’effetto serra e la desertificazione”. Per non parlare dei benefici diretti, in termini di salute, per le popolazioni rurali. “Con il suo impiego, infatti, si riduce al minimo la produzione di monossido di carbonio e particolato, che sono tra le cause principali di emissioni inquinanti nelle abitazioni e provocano, ogni anno, milioni di morti nei Paesi in via di sviluppo per malattie dell’apparato respiratorio”.
Il professore di Udine, è responsabile anche di un altro progetto, Biochar Plus. Si tratta di un progetto guidato dall’Università di Udine e cofinanziato dall’Unione europea per l’utilizzo di fonti sostenibili di energia da biomasse finalizzato alla riduzione delle malattie dell’apparto respiratorio, grazie all’uso, da parte delle popolazioni rurali, di fornelli pirolitici a basse emissioni nocive, utilizzanti combustibili alternativi al legno, in grado di evitare così la deforestazione ed i cui residui possono divenire ammendanti per migliorare la qualità dei suoli. Il progetto BiocharPlus, che si prefigge nel corso di tre anni, grazie al finanziamento della Comunità Europea e al sostegno dell’Unione Africana e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, di sviluppare pirolizzatori non solo per uso domestico. “L’intento è ricorrere alla pirolisi per alimentare impianti industriali: usare dunque canne, residui agricoli e altre biomasse per produrre energia elettrica in quelle aree remote del continente sprovviste di gas”. E nel frattempo all’Università di Udine si lavora anche ad altri progetti futuri: “In Zimbabwe e Guinea Bissau realizzeremo duepiccoli gassificatori a biomasse: saranno alimentati dagli scarti di una fabbrica che confeziona noci di Macadamia. Forniranno energia agli stabilimenti e ai villaggi di operai”. E presto Elsa Stove sarà commercializzata anche in Europa, attraverso lo spin off universitario Blucomb: “Nel nostro continente buona parte delle emissioni derivano dal riscaldamento. Per questo abbiamo pensato che anche qui Elsa potesse avere un mercato”.
Tratto da www.greenews.info